Se nulla sarà come prima, facciamo allora che sia meglio di prima. L’emergenza che stiamo vivendo è di carattere globale e ci pone di fronte a una miriade di interrogativi di tipo economico, sociale, ambientale. Come tutte le crisi, il prezzo da pagare sarà purtroppo alto, ma non intendiamo farci sfuggire se non altro l’occasione di rivedere tutto l’attuale ordine delle cose per il nostro Paese:
- È il momento di pretendere un sistema sanitario del tutto pubblico, gratuito ed universale con una gestione centrale e non più regionale, con standard di qualità uguali su tutto il territorio nazionale. L’emergenza ci ha messo di fronte all’evidenza di come il sistema di attribuzione alle regioni della sanità abbia generato solo sfaceli e disuguaglianze inaccettabili. Su innovazione e ricerca sanitaria, nuove tecnologie, strutture ospedaliere e piani di assunzione di personale medico dobbiamo pretendere un investimento massiccio e straordinario.
- Dobbiamo esigere giustizia ed equità sociale. È giunto il momento che chi ha accumulato di più ricchezze ora dia di più, ben oltre il gesto spontaneo e filantropico. Non è più rimandabile, quindi, un sistema di tassazione patrimoniale al fine di drenare al massimo risorse da reinvestire immediatamente in investimenti pubblici e infrastrutturali per il nostro paese.
- Lo stato di quarantena ci costringe a riflettere sulle nostre vite di lavoratrici e lavoratori: sullo stato di precarietà, sulla finta flessibilità, su un sistema che spreme il lavoratore senza alcun riguardo per il suo tempo e per la sua salute e soprattutto sulla condizione di perenne ricattabilità. Cogliendo di buon grado la misura contenuta nel Decreto Cura-Italia che sospende qualsiasi procedura di licenziamento anche con giustificato motivo, oltre che tutte le misure di ammortizzazione sociale, crediamo debba aprirsi una grande stagione di avanzamento sul piano dei diritti dei lavoratori, non soltanto con il ripristino di diritti conquistati nel secolo scorso e poi sottratti, come lo stesso divieto di licenziamento senza giusta causa, ma andando ben oltre. Pretendendo un lavoro più leggero, che impegni un minor numero di ore delle nostre giornate, che ci riservi più tempo e spazio per curare le relazioni e la salute e soprattutto che risponda prioritariamente non più alle logiche del maggior profitto ma al criterio del maggior benessere della comunità. Questa riflessione generale si intreccia con tante grandi questioni: dall’abbandono del sistema produttivo e industriale degli armamenti così come di impianti inquinanti al blocco delle delocalizzazioni. Oggi che soffriamo il fatto di non poter disporre nei nostri ospedali, ad esempio, di mascherine o materiale medico, ci rendiamo conto del grossissimo errore che abbiamo compiuto nell’accettare di aver abbandonato interi settori produttivi.
- Soltanto adesso che tutto il Pianeta è in ginocchio di fronte al nemico invisibile, l’Europa ha stracciato il Patto di Stabilità. È forse l’unica buona notizia che vale la pena condividere. Per decenni ci hanno castigato al rigore e all’austerity. Le nostre vite sono state piegate alle regole della finanza. Le sorti di interi paesi sono state segnate da ciò che appariva incontrovertibile ovvero che fosse impossibile indebitarsi ulteriormente anche quando questo debito era necessario per costruire scuole o ospedali o per salvare la vita stessa delle persone. L’Europa ci ha concesso grandi opportunità, ma ciò valeva solo per il libero scambio delle merci e per la libera circolazione delle persone. Il nostro stesso Paese ha scritto sulla nostra Costituzione l’obbligo di rispettare il Patto di Stabilità e ancora una volta l’impossibilità di indebitarsi: una cosa ignominiosa, che ha ancora una volta piegato le nostre vite al sistema economico e finanziario con ripercussioni a cascata sino alle nostre Città. Oggi il giocattolo si è rotto per tutti. Oggi è l’Europa che si arrende all’evidenza e non vogliamo in alcun modo che si torni come prima: dobbiamo e possiamo iniettare denaro pubblico nelle nostre economie, siano esse europee o nazionali, siano esse locali. Sembra ci attenda questo grande piano della BCE da 750 miliardi di euro che servirà a salvare l’Europa: benissimo, sarà un nuovo grande Piano Marshall che servirà a risollevarci. Ma l’Europa si salverà solo se non ripeterà gli errori del passato, solo se sarà capace di tracciare un nuovo orizzonte che deve imprescindibilmente essere uno solo: l’uguaglianza sociale delle persone. Su questi temi torneremo a interrogarci, si apre di fronte a noi un campo nuovo e inesplorato, che potrà consegnarci un mondo migliore abitato da persone migliori.
- Ci ha fatto riflettere la rapidità con la quale sono state prese alcune misure fortemente restrittive della libertà individuale al fine di contenere il diffondersi del contagio. Con grande fiducia nelle massime Istituzioni del nostro Paese e nel Comitato Scientifico che ha accompagnato il Premier Conte in queste settimane abbiamo obbedito alle prescrizioni. Non vogliamo invocare alcuna disobbedienza, ribadiamo anche noi l’urgenza ora di attenerci scrupolosamente alle indicazioni utili a contenere il contagio. Ma riteniamo doveroso se non altro interrogarci sul senso stesso di tutte o parte di queste misure sulle quali dobbiamo come minimo compiere una riflessione. Abbiamo visto come, in pochissimo tempo, la nostra Carta Costituzionale, ma potremmo dire tutte le Costituzioni o le Convenzioni a tutela dei diritti umani, siano state oltrepassate dallo stato di emergenza. La differenza l’abbiamo fatta noi stessi: riconoscendo noi stessi lo stato di urgenza straordinaria e abdicando ai nostri stessi diritti individuali in ragione di un superiore e collettivo interesse. Questo passaggio non è meramente speculativo: dobbiamo essere consapevoli che ciò è accaduto. Non possiamo ignorare ciò che è avvenuto o sta avvenendo dentro le carceri, nessuna nostra quarantena sarà mai paragonabile all’isolamento coatto e privo di qualsiasi diritto o garanzia di chi oggi è recluso. Nessuna forma di reclusione può trasformarsi in tortura, neanche in ragione di una calamità come quella che stiamo vivendo.
Non dobbiamo smettere di monitorare, appunto, le intenzioni che sottendono ogni misura che sarà presa, sia governativa sia locale. Pretendiamo Istituzioni ragionevoli e democratiche che agiscono nella direzione della sicurezza collettiva. La storia ci ha insegnato, forse non a sufficienza, come certi arretramenti rischiano poi di diventare irreversibili e come certi umori, quando diventano di massa, possono diventare pericolosi. Non ci piacciono le cacce all’untore, così come non ci sono mai piaciuti gli agitatori di odio, razzismo o intolleranza. Quello che sentiamo di dire, quindi, a tutti i cittadini, è di restare a casa ma di restare allerta, di non lasciarsi trascinare da facili o stupidi giudizi generalisti, di guardare all’altro, chiunque esso sia, malato o sano, con spirito di solidarietà e fratellanza.