Nell’elenco di cose da cui la sinistra dovrebbe ripartire, ne esiste una che riveste un ruolo centrale: gli intellettuali. Un tema che però oggi solo a citarlo rischia di suscitare spasmi di noia tra molti… Ma nella dialettica politica il senso della figura dell’intellettuale sembra essersi dissolto, così come si è modificato il senso del leader politico, oggi sempre più appiattito sul presente, incapace di uscire dal proprio orticello di riferimento, per esprimere una concezione ampia e storica della propria proposta politica. Di questi tempi sembrano proprio mancare i termini affinché gli intellettuali possano assumere nuovamente il peso specifico che possedevano nella società e nella politica di un tempo.
Vincono il populismo, gli slogan, talora meschini talora gioiosi, verso una sempre più preoccupante semplificazione del reale e delle sue soluzioni. Ma sottovalutare il ruolo dei pensatori, dei critici, degli intellettuali insomma, è un grosso errore della politica ed in particolare della sinistra, che infatti non sa più cosa dire al suo potenziale popolo, affannata ad inseguirne i consensi su questo o su quel tema, sull’onda della mutevole ed evanescente emotività popolare. Tanto da perdere i riferimenti politici e valoriali in cui riconoscersi di destra o di sinistra. È necessario un ritorno alla ragione, un ritorno alla storia ed alla memoria, un ritorno al progetto, un ritorno al programma, un ritorno alla coscienza.
È necessario un ritorno a quegli intellettuali immersi nella realtà, tra la gente, che sappiano ascoltare e capire cosa sia successo e cosa si muova, che sappiano interpretare le esigenze ed i bisogni delle persone, per offrire un orizzonte politico ampio in cui potersi riconoscere. E sarebbe necessario allora, ma senza noia, citare ancora Gramsci, intellettuale organico al PCI e Pasolini, intellettuale libero e critico della sinistra italiana.
È un errore credere che una paese, una città, abbiano bisogno solo di tanto bravi quanto asettici amministratori. È vero, sono necessarie le competenze e la capacità specifiche per risolvere i problemi tecnici, burocratici e amministrativi, ma tutto ciò si muove sempre e solo all’interno di una buona o di una cattiva politica, o meglio ancora all’interno di un buono o di un cattivo pensiero politico, rivolto alla custodia del bene comune o del bene privato, della salvaguardia del singolo o della collettività. Il buon governo e la buona amministrazione sono l’altra faccia della buona politica e viceversa.
Anna Arcudi (La Strada)